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Il commercio in sede fissa in Italia ha perso in 11 anni più di 111 mila unità (pari al 20 per cento)
di Giorgio Spaziani Testa presidente Confedilizia
Tra il 2012 e il 2023 sono venuti a mancare in Italia oltre 111mila negozi al dettaglio. La riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, sia per il Centro-Nord che per il Mezzogiorno. Cambia anche il tessuto commerciale all'interno dei centri storici, con sempre meno attività tradizionali (carburanti - 40,7 per cento, libri e giocattoli - 35,8 per cento, mobili e ferramenta - 33,9 per cento, abbigliamento - 25,5 per cento) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie + 12,4 per cento, computer e telefonia + 11,8 per cento), attività di alloggio (+ 42 per cento) e ristorazione (+ 2,3 per cento). Sono questi i principali risultati dell'analisi “Demografia d'impresa nelle città italiane”, realizzata dall'Ufficio Studi della Confcommercio in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne. «Partendo dal totale Italia, il commercio in sede fissa” segnala l'associazione «perde in 11 anni oltre 111mila unità (-20,2 per cento), cioè un'impresa attiva su cinque è morta e non è stata sostituita, 31mila se ne sono andate forse per sempre nel periodo delle recenti crisi». Anche se la situazione era nota, si tratta di numeri allarmanti. Le cause di questo fenomeno sono diverse e diversi sono anche i possibili rimedi. Ci sono, però, due misure concrete che riuscirebbero in poco tempo a cambiare le cose. La prima è il superamento delle regole contrattuali, risalenti a quasi mezzo secolo fa, che ingessano le locazioni non abitative, da sostituire con norme equilibrate e al passo coi tempi. Non è pensabile che due soggetti (proprietario e aspirante esercente) che decidano di accordarsi al fine di avviare in un locale commerciale una qualsiasi attività debbano sottostare a una serie di vincoli che sono l'antitesi di quanto una società libera richiede: dalla durata, obbligatoriamente fissata in un minimo di 12 anni (6 anni + 6 di rinnovo quasi automatico), all'indennità di avviamento commerciale (il diritto dell'esercente-conduttore a ricevere dal proprietario-locatore ben 18 mensilità di canone in caso di cessazione del rapporto di locazione). La seconda è l'introduzione della cedolare secca per gli affitti commerciali, prevista dalla riforma tributaria approvata dal Parlamento, ma non ancora attuata: in sostanza, una tassazione su base proporzionale dei redditi da locazione commerciale, sulla falsariga di quella in essere dal 2011 per il comparto abitativo. La locazione di questi immobili da parte di persone fisiche, infatti, è ora gravata, direttamente o indirettamente, da almeno 6 imposte: Irpef, addizionale comunale Irpef, addizionale regionale Irpef, Imu, imposta di registro, imposta di bollo.Come può non essere evidente a tutti che il mix, micidiale, fra vincoli contrattuali fuori dal tempo ed eccesso di tassazione limita fortemente, fino in molti casi ad impedirla, la possibilità di incontro fra domanda e offerta di immobili e, di conseguenza, l'avvio di nuove attività? Li si vogliono salvare davvero i centri storici e, più in generale, le nostre città.